MESSE SI, MESSE NO

da una riflessione di don Riccardo Parissenti, pievano di San Vito di Cadore e parroco di Borca di Cadore


Un giorno – vicino o lontano, lo sa Dio- questa pandemia e questo pandemonio finiranno. Molti si chiedono cosa stiamo imparando, cosa cambierà in noi dopo tutto questo?
E qui ognuno può trovare risposte differenti, a volte contrapposte, a volte complementari. Stiamo imparando quanto siamo fragili, quanto siamo precari, quanto è brutto veder soffrire e morire le persone, quanto è triste la solitudine… Ma stiamo imparando anche quanta buona gente c’è attorno a noi, quante persone sono capaci di solidarietà, quanto ci mancano gli altri, quanto è bello il silenzio… Presto potremo raccontarci queste sensazioni.
Però, c’è qualcosa che dovremo condividere e narrarci anche tra credenti, e solo tra credenti. Mentre si sta polemizzando sulla possibilità o meno di ridare la Messa ai fedeli qualche considerazione viene spontanea. Se davvero non si può celebrare perché i tempi sono prematuri, perché è rischioso, perché ci è chiesto di sacrificarci ulteriormente per il bene della società, facciamolo con generosità e senza paura. Siamo discepoli di un Dio che è morto in croce per gli altri! Se poi apriranno negozi, stadi, palestre, forse potremo, senza vittimismi ma con la forza del diritto, far notare che in chiesa si sta belli larghi, sempre in pochi, persi in grandi volumi…
Quello che un cristiano non può accettare è che gli venga detto che in fondo la pratica religiosa è un “di più” non necessario, che può ascoltare la Messa per televisione, che il papa parla tutti giorni, che le cerimonie (sic) pasquali con la piazza San Pietro vuota sono state suggestive. Per chi cerca emozioni andranno bene anche queste cose. Ma ad un credente non interessa sentire il papa tutti i giorni e nemmeno il vescovo o i tanti preti che affollano i teleschermi facendo confusione, interessa Gesù Cristo. Generazioni e generazioni di cristiani non avevano mai visto il volto del papa regnante o sentito la sua voce, raramente il vescovo, ma incontravano Gesù Cristo nei sacramenti celebrati non in modo virtuale, ma reale, in una comunità concreta.
E il sacramento si va a celebrarlo con un certo stile. Mettere tutto sul video (magari per quantificare audience e “mi piace”) alle volte ricorda l’evangelico “dare le perle ai porci”. Guardare la Messa tra la pubblicità delle merendine (se va bene…) e quella del detersivo (sempre se va bene…) crea un certo imbarazzo al credente. Il prodotto religioso al momento è cercato, e si vende come gli altri… La domenica mattina cambi canale e trovi messe ovunque: nemmeno in era democristiana c’era tanta abbondanza! Se è vero che per qualcuno tutto questo può essere stato un aiuto nell’emergenza, nel complesso i rischi per la fede potrebbero essere superiori ai benefici.
Forse un digiuno prolungato era meglio dell’illusione; l’illusione di aver mangiato perché hai visto altri mangiare.
Certo nel raccontarci questo tempo diremo che per molti è stato bello pregare in famiglia, riscoprire gesti di carità, pregare nel bosco… Nessuno lo nega, ed è una grazia poterlo fare. Però, se è giusto apprezzare questo, non è giusto minimizzare la sofferenza di chi deve rinunciare all’Eucaristia, di chi non può accettare che il virtuale sostituisca il reale.
È troppo chiedere comprensione e rispetto per questa sofferenza? O dobbiamo continuare a tenerla nascosta per evitar di essere derisi (a volte anche da coloro da cui ci aspetteremmo maggior comprensione perché fratelli e pastori)?
Forse alla fine di questa pandemia/pandemonio, molti avranno capito di poter star bene anche senza Messa e di poter vivere la loro dimensione spirituale in altro modo: augureremo loro buon cammino (Martin Lutero lo aveva insegnato 5 secoli fa!); ma molti avranno capito che davvero non si può essere Cattolici senza l’Eucaristia, che, diciamolo pure ancora una volta, non è tutto del cristianesimo, ma ne è la fonte e il culmine.